La parola panico ha origini antiche legate al mito greco del Dio Pan, figura mitologica metà uomo e metà caprone, che amava vagare nei boschi e spaventare i viandanti che attraversavano le selve.
Nella sua forma più grave abbiamo gli attacchi di panico che si manifestano con una improvvisa e intensa paura in assenza di un pericolo esterno, accompagnata da diversi sintomi somatici (affanno, sensazione di soffocamento, tremori, dispnea) e cognitivi (paura di impazzire, di perdere il controllo, paura di morire).
Il panico si presenta all’improvviso e apparentemente slegato dal contesto. Pertanto, genera una profonda e intensa angoscia in chi lo subisce in quanto percepito come qualcosa di insensato.
Come afferma lo psicoanalista Paolo Roccato, “l’attacco di panico è un insieme di sintomi somatici e psichici che al soggetto appaiono del tutto insensati e che suscitano in lui/lei una terribile angoscia, la quale, invece, è la sola cosa che gli si presenta come del tutto sensata”.
Per tutti questi motivi, l’esperienza dell’attacco di panico è così spaventosa che nel tempo può generare una sorta di paura anticipatoria che spinge la persona ad evitare tutti i luoghi e le situazioni potenzialmente in grado di innescare un nuovo episodio di panico.
Le strategie di evitamento preventivo in alcuni casi possono diventare così massicce e pervasive, da sollecitare nelle persone la graduale necessità di evitare luoghi e sensazioni.
Da un punto vista psicologico riconosciamo due livelli di malfunzionamento della mente in chi soffre di attacchi di panico: il livello della percezione delle emozioni e il livello della gestione delle emozioni. Il malfunzionamento determina l’incapacità di percepire e riconoscere le emozioni, creando una sorta di “analfabetismo emozionale".
L'emozione non è percepita come un qualcosa che accade nella mente in modo unitario, quanto, invece, come un fenomeno scomposto e quindi caotico e disorganizzato.
In questo contesto, appare fondamentale un lavoro terapeutico che possa favorire il riconoscimento e l’integrazione delle proprie emozioni. Creare quindi un collegamento tra ciò che è segnalato dalla paura con ciò che è indicato dagli altri canali di conoscenza quali la memoria, la percezione e il pensiero.
L’obiettivo della terapia è quindi imparare a riconoscere la sensatezza della propria esperienza emozionale imparando a gestirla in modo più adeguato.